DANTE

Enfer (XXIV, 97-120)




Ed ecco a un ch'era da nostra proda,
s'avventò un serpente che 'l trafisse
là dove 'l collo a le spalle s'annoda.

Né O sì tosto mai né I si scrisse,
com' el s'accese e arse, e cener tutto
convenne che cascando divenisse ;

e poi che fu a terra sì distrutto,
la polver si raccolse per sé stessa
e 'n quel medesmo ritornò di butto.

Così per li gran savi si confessa
che la fenice more e poi rinasce,
quando al cinquecentesimo anno appressa ;

erba né biado in sua vita non pasce,
ma sol d’incenso lagrime e d’amomo,
e nardo e mirra son l’ultime fasce.

E qual è quel che cade, e non sa como,
per forza di demon ch’a terra il tira,
o d’altra oppilazion che lega l’omo,

quando si leva, che ’ntorno si mira
tutto smarrito de la grande angoscia
ch’elli ha sofferta, e guardando sospira :

tal era 'l peccator levato poscia.
Oh potenza di Dio, quant' è severa,
che cotai colpi per vendetta croscia !


Traduction de Balthasar Grangier (1596)


Lors à un qui estoit voisin à nostre proüe
Vn serpent s'élença, qui le perce cruel
En la part où le col aux espaules se noüe,
Et i'amais ie n'ay veu ny s'escript un fait tel,
Comme il s'allume & brusle, & convient que tout cẽdre
Impestueusement tombant doive se rendre.

Et puis qu'il fut destruit sur terre en ceste sorte,
La pouldre se r'assemble, & en ce mesme alors
Retourne à coup par sa puissance forte,
Comme on lict aux escripts des sages plus accords,
Que meurt l'oyseau Fenix, et puis vient à renaistre,
Alors qu'à cinq cens ans bien proche se sent estre.

D'herbe ne se nourrit ny d'avoyne en sa vie,
Mais seulement d'amome & de gomme & d'encent,
Et pour son nid dernier la myrrhe avec enuye
Il recerche, & le Nard. Et quel est cil qui tend
A la cheute, & ne sçait comment si par la force
Des Demons, ou du mal qui le lier s'efforce,

Quand il se leve droict, et qu'autour il remire
Comme tout estourdy du tourment furieux,
Lequel il a souffert, & et en gardant souspire :
Tel estoit le pecheur apres levant les yeux.
O Iustice de Dieu combien es tu severe,
Qui touches de tels coups en ta vengeance amere !



Traduction de F. Lamennais (1855)


Et voilà que sur l'un d'eux, qui était près de la même rive que nous, s'élança un serpent qui le piqua là où le col s'articule à l'épaule ;

Jamais ni O, ni J ne s'écrivit aussi vite qu'il s'enflamma, et brûla tout entier, et tomba réduit en cendres :

Et lorsqu'ainsi détruit il fut gisant à terre, la poussière aussitôt se rassembla, et d'elle même redevint le même corps qu'auparavant ;

Ainsi, au dire des grands sages, le Phénix meurt et ensuite renaît, lorsqu'il approche de sa cinq centième année.

Il ne se nourrit, durant sa vie, ni d'herbe ni de grains, mais de larmes d'encens et d'amôme ; et le nard et la myrrhe sont ses derniers langes.

Tel que celui qui tombe et ne sait comment, que la force du démon l'ait jeté à terre, ou un autre mal qui lie l'homme,

Quand il se relève, regarde autour, troublé par la grande angoisse qu'il a soufferte, et, regardant, soupire.

Tel était le pécheur, après s'être relevé. Oh ! que sévère est la justice de Dieu, dont la vengeance frappe de tels coups.



Traduction de Rivarol (1867)


Je regardais, et voilà qu'un serpent, lancé près des bords où nous étions, pique un coupable à la gorge ; et, dans un clin d'oeil, le coupable enflammé se consumme et tombe réduit en cendres ; mais cette poussière en tombant se ramassait d'elle-même, et tout à coup, se dressant sous sa première forme, le réprouvé se montra debout. Ainsi la sage antiquité nous peint le phénix mourant et renaissant après cinq siècles ; ne vivant, au lieu des fruits et de l'herbe des champs, que du suc de l'amomum et des pleurs de l'encens ; expirant enfin sur un lit de myrrhe, de nard aromatique.
Cependant tel un homme frappé d'un invisible mal, ou renversé par l'esprit immonde, tombe d'une chute inopinée, et se relève ensuite tout ébranlé de l'affreuse secousse ; plein de trouble, il regarde autour de lui, et soupire en regardant : tel était le coupable devant nous. O sévère justice du ciel, quels coups échappent de tes mains !




Commentaire de Cristoforo Landino, 1497.


{97-105} Non danno la sententia di quegli e quali vogliono che'l poeta ponga tre spetie di furi. La prima di quegli che non hanno anchora facto habito, ma trovando l'occasione del furare non se n'abstengono, perche chome è nel proverbio, a archa aperta giusto vi pecca. La seconda è di quegli che hanno facto già habito et sempre s'ingegnano di furare ; ma nientedimeno usano tanta discretione, che non furono né ogni chosa, né in ogni luogho, né a ogni persona. La terza è di quegli che non hanno riguardo né a luogo, né a tempo, né a persona. Adunque qui tracta della prima spetie dimonstrando che benché uno non habbia facto habito di furare, pure abbattendosi a potere comodamente torre alchuna chosa di subito gli s'accende l'appetito, et arde in tale cupidità, et ardendo diuenta cenere ; a dimostrare che tale ardore fa che non è piu huomo havendo perduto la ragione, et essendo si accecato di tal voglia, che niente altro sente o ode. Ma poi che ha adempiuto la sua voglia la ragione ritorna, et di nuovo diventa huomo, et giudica havere errato, ma impedito o da vergogna o da avaritia non rende el furto. Adunque la serpe che è la cupidità del commetter la fraude lo trafigge et in un momento l'arde, et fa cenere, cioè lo tramuta d'huomo in chosa insensata, et poi caduto nel peccato per sé medesimo si raccoglie, et ritorna huomo. Ha expresso adunque la prima spetie de' ladri.

{106-108} Non altrimenti rinascer del suo cenere afferma chostui che si faccia la phenice. Questa dicono essere uno uccello in Arabia grande quanto una aquila, el collo suo è di colore d'oro : el resto delle penne sono porporine, excepto che la choda è azurra, ma distincta con penne di colore di rosa. Scrivono che vive cinquecento sexanta anni. Manilio senatore fu el primo de' Romani che scripse della phenice, et dixe che nessuno la vide mai pascere, ma che in Arabia è consecrata al sole. Quando è vecchia fa el nido di festuche dell' albero della cassia et dell' incenso, et riempielo d'odori, et in quello muore. Delle midolle sue nasce un vermine, el quale dipoi diventa phenice, et di subito celebra l'exequie alla già morta madre; et tutto el nido porta apresso a Panchaia regione d'Arabia nella città del sole, et ponlo in su l'altare. La morte sua è la revolutione dell'anno grande, et che le qualità de' tempi, et delle stelle ritornono al suo principio. Et questo comincia circa a mezo di quel giorno che'l sole entra nell'ariete. Scrive Cornelio Valeriano, che la phenice volò già in Egypto, et fu portata a Roma nel tempo che Claudio imperadore et censore, et posta nel comitio l'anno ottocentesimo della hedificatione di Roma ; ma nessuno dubita che questo non sia falso. Altri scrivono che la phenice quando viene la morte si volge a' razi del sole et quegli reflectendosi nelle splendide penne fanno fuoco. Onde epsa arde insieme col nido, et rinasce prima vermine, et doppo tre giorni gli nascono l'ali.

{109-111}HERBA NE BIADA non pasce : chome pascano gl'altri ucciegli, ma pasce solo LACHRIME : cioè gomme overo ragia, d'incenso et d'amomo : la quale chome lagrime distilla da suo troncho, et poi si consolida chome veggiamo nel gynepro et in molti altri arbori. Lo 'ncenso in latino è decto thus. Amomo, cenammomo et cennamo è una medesima cosa, nasce in Ethyopia in luoghi sterili, è piccolo albero né cresce piú alto che due cubiti, non lo colgono sanza licentia di Jove ; Et questa impetrono con quarantaquattro interiora di buoi di capre et di castroni. Quando l'hanno ricolto, ne donano la metà al sole, et di subito per sé medesima s'accende et arde. Vespasiano fu el primo che in Capitolio et nel tempio della Pace dedicò una corona di questo legno ornata d'oro. ET NARDO ET myrra son l'ultime fasce : cioè fa l'ultimo nido di nardo et di myrra nel quale arde. Nardo nasce in India et fa spighe, onde è decto spigho. Nasce anchora in Soria, nasce in Gallia, et questo è piú noto a noi : et già in Firenze nasce et seminasesi ; nasce anchora in Creta. Myrra è albero che nasce in Arabia nelle medesime selve che lo 'ncenso. Altri vogliono che nasca in piú regioni et cresce d'Arabia conciosiaché lo 'ncenso non nasca in piú che in una decta Sabea ; è questo albero spinoso et cresce insino in sei cubiti ; le foglie sono d'ulivo ma crespe et aguze. Altri lo discrivono simile al ginepro et di quello sapore.

{112-114} ET Quale è quello. Optima comperatione per la quale dimostra che poiche che costui di cenere tornò nella prima forma divenne stupido et trasognato et balordo chome interviene ad chi per forza d'incantesimi, o di qualche opilatione, stato tramortito rinuiene. Ma in quel principio è attonito et quasi insensato.

PER FORZA di demonio : cioè per incantesimo, chome leggiamo di Simon mago, el quale per arte magica facea tramortire gl'huomini in forma che parevono veramente morti, et dipoi faccendogli rinvenire dava ad intendere al vulgo che havea possanza di risuscitare e morti

O D'ALTRA OPILATION CHE LEGHA L'HUOMO. Chome è el morbo comitiale overo caduco. Significa allegoricamente che chome el tramortito o per incantatione diabolica o per infermità quando ritorna in sé rimane stupido et maravigliasi : perché non si ricorda da che sia proceduto tal caso ; chosí quando el peccatore è caduto nel furto o per tentatione diabolica, o per propria infermità della sua sensualità, si maraviglia poi in sé medesimo, chome s'habbi lasciato vincere da tal peccato.

{118-120} O POTENTIA DI DIO. Con questa exclamatione admonisce el peccatore che benché sia a' viventi pieno di misericordia, nientedimeno dopo la morte non usa se non severità, la quale è justitia sanza misericordia alchuna. O quanto è severa la potentia di dio che croscia, cioè con vementia et grande empito percuote, cotali colpi, cioè pene st suppicii. Onde diciamo un croscia d'acqua, quando la piova cade con grande empito.

PER VENDECTA. Cioè per punitione, perche vendecta alchuna volta si pigla per giuridica punitione, et è spetie di giustitia.




Traduction du commentaire de Landino (M. Lantheaume, 2004).



{97-105} Ils (ces vers) ne reprennent pas le point de vue de ceux qui veulent que le poète distingue trois espèces de voleurs. La première faite de ceux qui n'ont pas encore pris l'habitude de voler, mais qui si l'occasion s'en présente, ne s'en abstiennent pas, parce que, comme dit le proverbe, l'occasion fait le larron. La seconde est celle de ceux qui en ont déjà pris l'habitude et qui s'ingénient toujours à voler ; mais néanmoins ils le font avec tant de discernement, qu'ils ne volent pas n'importe quoi, ni n'importe où, ni n'importe qui. La troisième est celle de ceux qui n'ont d'égards ni au lieu, ni au moment, ni à la personne. Il traite donc ici de la première espèce en démontrant, bien que quelqu'un n'ait pas pris l'habitude de voler, tout en s'abaissant à pouvoir commodément dérober quelque chose, que brusquement s'éveille son appétit, qu'il brûle dans cette cupidité, et qu'en brûlant il se réduit en cendre ; ceci pour démontrer qu'à cause de ce feu il n'est plus homme en perdant la raison et en étant aveuglé de cette envie au point de ne plus rien sentir ni entendre. Mais après avoir satisfait son envie il revient a la raison, redevient homme et estime s'être trompé mais, arrêté soit par la honte soit par l'avarice, il ne restitue pas son vol. Par conséquent le serpent qui est désir de commettre la fraude le transperce et en un instant le consume, et le réduit en cendre, c'est-à-dire le transforme d'homme en chose privée des sens ; et après être tombé dans le péché, de lui-même il se recompose et redevient homme. Il a donc illustré la première espèce de voleurs.

{106-108} Il ne renaît pas autrement de ses cendres , affirme celui-ci, que ne fait le phénix. On dit que c'est un oiseau d'Arabie aussi grand qu'un aigle dont le cou est couleur d'or : le reste des plumes est couleur pourpre, sauf la queue qui est bleue, mais relevée de quelques plumes couleur de rose. On lit qu'il vit cinq cent soixante ans. Le sénateur Manilius fut le premier des Romains qui écrivit au sujet du phénix, et il dit que personne ne le vit jamais manger, mais qu'en Arabie il est consacré au soleil. Quand il est vieux il fait son nid avec des brindilles des plantes de cassis et d'encens, le remplit d'odeurs et y meurt. De ses humeurs nait un vers qui devient ensuite phénix et qui immédiatement célèbre le deuil de sa mère déjà morte ; il emporte ensuite le nid tout entier vers Panchaia région d'Arabie dans la cité du soleil, et le place sur l'autel. Sa mort marque la révolution de la grande année quand la qualité des temps et des étoiles revient à son début. Ceci commence vers le milieu du jour où le soleil entre dans le bélier. Cornelius Valerianus écrit que le phénix s'envola jadis vers l'Egypte et qu'on le transporta à Rome du temps de Claude empereur et censeur et qu'on le plaça dans le comice en l'an huit cent de l'édification de Rome ; mais personne ne se demande si ceci n'est pas faux. D'autres écrivent que, lorsque vient sa mort, le phénix se tourne vers les rayons du soleil qui en se réfléchissant sur son magnifique plumage prennent feu. Il brûle donc avec son nid, renaît d'abord comme vers ; et trois jours après lui poussent ses ailes.

{109-111} Il ne se nourrit NI D'HERBE NI DE GRAINES : comme se nourrissent les autres oiseaux, mais il ne se nourrit que de "larmes", c'est-à-dire de gommes, ou résine, "d'encens et de cardamone" : celle-ci, comme des larmes, coule de son tronc, et puis se durcit comme on le voit sur le genèvrier et sur beaucoup d'autres arbres. L'encens en latin est dit thus. Amome, cardamone et cinname sont une seule et même chose qui pousse en Ethiopie dans des lieux désertiques. C'est un petit arbre qui ne dépasse pas la hauteur de deux coudées et qu'on ne cueille pas sans l'autorisation de Jupiter. On malaxe cette plante avec quarante quatre entrailles de boeufs, de chèvres et d'agneaux. Quand on l'a recueillie, on en offre la moitié au soleil et aussitôt elle s'enflamme d'elle-même et brûle. Vespasiano fut le premier à consacrer au Capitole et dans le temple de la paix une couronne de ce bois ornée d'or. ET LE NARD et la myrrhe sont ses derniers langes : c'est-à-dire qu'il fait son dernier nid de nard et de myrrhe dans lequel il brûle. Le nard pousse en Inde et donne des épis ; c'est pourquoi on l'appelle épi. Il pousse encore en Syrie, en Gaule et, ce qui nous est plus connu, il pousse bien sûr à Florence où on le sème. Il pousse encore en Crète. La myrrhe est un arbre qui pousse en Arabie dans les mêmes forêts que l'encens. D'autres auteurs prétendent qu'il naisse dans plusieurs régions et qu'il pousse dans une d'Arabie bien que l'encens ne naisse pas dans plus d'une seule appelée Sabea ; c'est un arbre épineux qui grandit jusqu'à six coudées ; ses feuilles sont de l'olivier mais froissées et piquantes. D'autres le décrivent semblable au genévrier et de même saveur.

{112-114} ET tel est celui : Excellente comparaison par laquelle il démontre que celui-ci, après avoir depuis ses cendres recouvré sa forme première, est apparu hébété, ahuri et balourd comme il arrive à celui qui sous l'action de charmes ou de quelque opération, d'évanoui qu'il était retrouve ses esprits. Mais au début il est abasourdi et comme privé de sens.

PAR L'ACTION du démon : c'est-à-dire par enchantement, comme nous le lisons au sujet de Simon le mage, qui par magie faisait s'évanouir les hommes de sorte qu'ils semblaient vraiment morts, et qu'ensuite en les faisant revenir à eux il donnait à penser aux badauds qu'il avait le pouvoir de ressusciter les morts.

OU PAR UNE AUTRE OPERATION QUI PARALYSE L'HOMME : Comme fait la maladie comitiale ou mal caduc. Cela signifie allégoriquement que comme la personne évanouie, soit par incantation diabolique soit par maladie, quand elle revient à elle, demeure hébétée et s'en étonne, parce qu'elle ne se rappelle pas comment cela lui est arrivé ; de même quand le pécheur est devenu voleur, soit par tentation diabolique soit par la maladie de sa propre sensualité, il s'étonne en lui-même comment il a bien pu se laisser vaincre par ce péché.

{118-120} OH PUISSANCE DE DIEU : Par cette exclamation il avertit le pécheur que bien qu'il soit pour les vivants plein de miséricorde, néanmoins après la mort il n'use que de sévérité qui est justice sans aucune miséricorde. Oh qu'elle est sévère la "puissance de Dieu qui s'abat à verse", c'est-à-dire qu'elle frappe avec véhémence et en grande abondance, "de tels coups", c'est-à-dire peines et supplices. D'où nous disons qu'il pleut à verse quand la pluie tombe en grande abondance.

PAR VENGEANCE : c'est-à-dire par châtiment, parce parfois la vengeance se prend pour un châtiment judiciaire et que c'est une sorte de justice.